Bosa. Sulle pitture di Emilio Scherer ancora un appello dello studioso Marco Antonio Scanu

"Per il nobile pittore la Quaresima a Bosa non termina ancora... Cresce la fama di Emilio Scherer a Parma e prosegue la decadenza delle pitture nella concattedrale."

29 marzo 2016 | News
Da qualche tempo scambio con una cara amica bosana istantanee immagini realizzate e inviate tramite smartphone. Il suo gusto estetico raffinato, coglie momenti di intima poesia, che suscitano in me altrettante risposte fotografiche... in un dialogo semplice e arricchente. Magie dei media contemporanei, che consentono dialoghi veloci a base di impressioni visive e sottintendono la condivisione di un affetto che si mantiene costante nel tempo e che si nutre anche di queste piccole meraviglie. Lo scorso Venerdì Santo, in una logica improntata anche alla fede, Elisabetta mi ha inviato un'immagine del Cristo crocifisso innalzato nella cattedrale di Bosa, in attesa del tradizionale Iscravamentu, immortalando l'afflato mistico che sovrintende a quei momenti nel cuore del credente. E' un'immagine sottilmente sinestetica, che intende esprimere il silenzio di Dio che muore per la redenzione dell'umanità. In queste riflessioni affaccendato, mi sono immediatamente reso conto dello sfondo su cui campeggia il Crocifisso: il catino absidale della bella cattedrale (o "concattedrale" come richiede la moderna burocrazia ecclesiastica), ancora impreziosito dalle pitture di Emilio Scherer, benché volgenti alla totale rovina a causa dell'umidità..., in un inquietante parallelo e triste consonanza con il drammatico momento liturgico. Analoga situazione per ciò che concerne l'interno della cupola, già da tempo lacunosa e ancor più menomata. Lo stesso si dica delle pitture della chiesa di Santa Croce.
 
Trovo il momento di scrivere queste poche righe nel lunedì dopo Pasqua: il Cristo, dopo essere stato deposto, è già risorto e si è "incontrato" con la Vergine Maria, nel consueto avvicendarsi delle tradizionali celebrazioni..., ma la Quaresima ancora non finisce per il povero pittore, che creò per Bosa una delle sue massime composizioni artistiche. La visione trasfigurata della città, con la Vergine che la sovrasta e ne protegge le vicende, con i santi patroni Emilio e Priamo che ne presidiano il Lungo Temo e lo storico ponte in trachite rossa, pare condannata ad un irreversibile declino. Segnalavo questa incresciosa situazione di fatto già dall'agosto 2014 e, nonostante l'accoglimento dei miei appelli su vari supporti comunicativi (si veda il testo al link http://www.radioplanargia.net/index.php?m=mkNews&idcontent=198), la situazione permane in progressivo peggioramento, in attesa di un'agognata "resurrezione" che tarda a manifestarsi. Chi ha orecchie per intendere intenda. Mi muovo con i mezzi che mi sono consueti e di cui ho disposizione... con l'ennesimo auspicio che si colga il valore culturale che stiamo facendo deperire per sempre. 
A dispetto della miopia che affetta chi ha responsabilità e chi ha potere di intervento sulla cattedrale bosana, giungono buone nuove da Parma, città natale dello Scherer, che ne rivaluta la figura e gli tributa un doveroso omaggio. Fin dall'agosto scorso sono entrato in comunicazione con la professoressa Isabella Leoni, del Liceo Artistico Paolo Toschi la quale, avendomi rintracciato telefonicamente, mi prospettava la pubblicazione di un catalogo della collezione dei dipinti ottocenteschi posseduti dalla gloriosa istituzione presso cui lavora. Nel contesto dello studio - avviato sotto la supervisione del Dirigente scolastico Roberto Pettenati - veniva compiuto anche il restauro dell'opera Una giovinetta dopo il ballo (1867), che Emilio realizzò in occasione di una delle esposizioni della locale Società di Incoraggiamento agli Artisti. Nonostante figuri da tempo, appeso con ostentazione, nella presidenza del Liceo Toschi, si tratta di un dipinto finora sconosciuto al fronte sardo degli studi schereriani, che la conseguente pubblicazione, presentata al pubblico lo scorso 23 gennaio, non esita a valutare come l'opera più riuscita del pittore e, certamente, il capolavoro della fase giovanile parmense, di un Emilio appena ventiduenne. Ancor più importante, in seguito a un restauro che ha consentito l'indubitabile lettura della firma e la definitiva espunzione dal catalogo di Giorgio Scherer (fratello di Emilio), dopo una precedente attribuzione a Cletofonte Preti. Le schede di Rossella Cattani di cui si sostanzia il volume Accademici al Toschi analizzano un'altra opera inedita, il secondo saggio inviato da Napoli all'Accademia nel 1872 (assieme alla copia dal Maldarelli che già censivo nel 2002): si tratta di Da Friso a Santa Lucia, copia da Edoardo Dalbono, che contribuisce a far luce sul breve periodo di "approfondimento" artistico, vissuto dal nostro Scherer sotto la guida di personaggi quali Federico Alvino, il già citato Federico Maldarelli e, sopratutto, il grande Domenico Morelli. Ma la porzione più importante del catalogo è la ricostruzione biografica, a firma della porf.ssa Leoni (colgo l'occasione per ricambiare i ringraziamenti formalmente rivoltimi dalla studiosa sulla tabula gratulatoria del volume), che ci consente una conoscenza decisamente più completa del periodo parmense di Emilio Scherer, prima della sua partenza per la Sardegna, per l'Africa e forse altre mete ancora, finora documentate solo dai souvenirs  pittorici tramandati ai posteri dal pittore. 
Lo scavo proposto al lettore giunge quasi a ribaltare a favore di Emilio la bilancia dell'apprezzamento a confronto con suo fratello Giorgio, che finora ha avuto maggiori considerazioni (o forse, è meglio dire, maggiore visibilità) da parte degli studiosi. Si parte con informazioni di prima mano sulla famiglia, derivate direttamente da documenti d'archivio, che ci narrano di come suo padre (Giorgio come il primo figlio maschio), nativo di Würzburg, giunse a Parma prima del 1823 con mansioni di tipo prevalentemente teorico e didattico presso l'importante Orto Botanico di Maria Luigia, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla (ivi compresa la direzione, prima in sostituzione del destituito Giorgio Jan e poi in sostituzione di Giovanni Passerini). Continuò il suo incarico anche dopo aver sposato l'austriaca Caterina Paumer nel 1827, dalla quale ebbe ben undici figli, di cui Emilio fu l'ultimo nato, il 5 gennaio 1845. 
Si ripercorre, quindi, la carriera accademica del nostro, le documentate circostanze espositive e il di lui soggiorno "premio" a Napoli, sottolineandone le non troppo fortunate circostanze, che condussero all'interruzione del sussidio e, dunque, al rientro in patria. Ma le audaci sperimentazioni apprese nel capoluogo partenopeo costituirono un bagaglio di emozioni e di abilità estetiche che condussero il pittore ad aver maggiore apprezzamento altrove, fino all'approdo nella nostra Isola e al ruolo di artista "mitico" che la sua presenza continuativa a Bosa gli rese nel tempo.
Sempre, con orgoglio, egli ricordava anche in Sardegna la sua origine parmense (anche immortalata a completamento della sua firma Emilio Scherer da Parma), ed oggi - a dispetto di un'incuria che ci si augura temporanea - da Parma torna indietro lo stimolo per un rinnovato apprezzamento dello Scherer anche in Sardegna.
Sulla scorta del taglio biografico del saggio della prof.ssa Leoni, approfitto di questa circostanza, per arricchire ulteriormente la conoscenza delle vicende del pittore e del contesto in cui ebbe modo di sorgere. Mi riferisco ad alcune informazioni inedite che ebbi modo di acquisire nell'ambito delle campagne di indagine che condussero, prima alla mia tesi di Specializzazione e, successivamente, alla monografia sul pittore pubblicata nel 2002 (e ad ulteriore complemento dei miei ripetuti interventi sull'argomento). L'orgoglio di appartenere ad una famiglia di illustri ascendenze, immortalata in una tecnica mista di Emilio - pubblicata a corredo del testo della Leoni (ma che fotografavo a Bosa nel 2001, prima che, con la morte della nuora del pittore, confluisse con altre numerose opere in collezione privata torinese), era già palese in Emilio. Una dignità borghese che egli volle evidenziare, più volte, nel raffigurare i propri genitori ma così pure il nuovo nucleo familiare che egli creò in Sardegna. Sua moglie, Maria Masala, fu la musa ispiratrice prediletta e non ci è difficile riconoscere il suo sguardo nelle Madonne o nelle figure angeliche dipinte dall'artista. Stesso amore incondizionato (e certamente ancor più viscerale) nutrì per Edgard, suo unico figlio, protagonista di una nutrita serie di piccoli dipinti che, probabilmente, le vicissitudini della collezione Contini-Scherer, hanno già condotto lontano da Bosa. Con la stessa rigorosa periodicità cui fanno riferimento queste prove pittoriche, che intesero esprimere la meravigliata amorevole passione di un padre per la crescita del figlio (a partire dall'Edgard col bavaglino fino al ragazzo, già adulto, colto in uniforme), sul retro della tela raffigurante Edgard con un mandarino in mano (datata 1895) Emilio appuntava a matita i progressi fisici del piccolino: anno, altezza e peso. Vi si scorge, incollato, un foglietto con le prime prove grafiche del bambino e un messaggio, su otto righe, che rivela l'abisso d'amore di quel padre che, nel silenzio della casa ormai vuota, pensa al figlio, lontano a Sassari per motivi di studio: Mio adorato figlio, anche / quando sarai grande e guarderai / questo tuo ritratto che ti fece tuo / padre quando tu avevi 3 anni... / e che ti ha amato sempre tanto tanto. / Scritto il 4/5/1909. Sei mesi dalla tua partenza per il liceo di Sassari. / Che tu sia sempre sano e felice. 
Le aspettative di una vita decorosa e di riconoscimento sociale condussero molto tempo dopo - Emilio morì nel 1924 - Edgard (ormai divenuto medico chirurgo) ad indagare il passato degli Scherer, rivolgendosi ad uno studio di consulenza araldica di Milano. Ne sono venuto a conoscenza attraverso una serie di fogli dattiloscritti e inseriti sul retro dello stemma nobiliare della famiglia, che faceva bella mostra di sé su una parete del salotto della dimora del dott. Scherer, che ho potuto ripetutamente visitare fra il 2001 e il 2002, prima della dispersione degli arredi che seguì alla morte della moglie di Edgard, Maria Contini. I fatti si riferiscono agli anni 1952-1954: a seguito di un primo contatto ricercato dal medico bosano, nel giugno del '52 giungeva la comunicazione di come in base alla cartolina scheda ritornataci debitamente compilata... siamo in grado di comunicarVi che dopo paziente e diligente lavoro abbiamo rintracciato lo stemma e le notizie storiche della Vostra illustre famiglia. Lo stemma è leggermente differente da quello da Voi descrittoci. Le parole dello scrivente, il commendator Boccassini, ci inducono a credere che la ricerca di nobili origini partisse, comunque, da una minima consapevolezza, probabilmente tramandata oralmente. Due anni dopo, corrispondeva ad ulteriori missive partite da Bosa, una nuova comunicazione scritta da Milano il 1° febbraio 1954: dopo attento e scrupoloso esame della Vostra pratica Nobiliare, abbiamo il piacere di comunicarVi, che in base ad antiche rivendicazioni di nobiltà allacciata tanto a Giorgio Scherer, botanico eminentissimo di grande valore, alla Corte della Duchessa di Parma, quanto al parente collaterale Bartolomeo Luigi Giuseppe, il Titolo a Voi spettante sarà di: CONTE PALATINO e di CAVALIERE EREDITARIO, trasmissibile in linea di primogenitura mascolina. 
A prescindere dalle obiezioni rivolte al Boccassini dal medesimo Edgard, che insinuava accuse di "falsità" ai riferimenti procacciati dallo studio milanese, è interessante apprendere, da questo scambio epistolare, dell'arrivo del padre di Emilio a Parma nel 1810 (ma si tratterà di data esatta o di riferimento al decennio?), al seguito di un importante generale napoleonico. Altre obiezioni avrebbe addotto Edgard in riferimento alla validità dei titoli nobiliari, in base al dettato del paragrafo XIV della Costituzione Italiana, controbattute affermando che la patente di nobiltà sarebbe stata ratificata e vidimata da parte del Tribunale civile e penale di Roma. 
Al di là del contraddittorio fra il dott. Edgard e il commendator Boccassini, e le verità storiche sul lignaggio della famiglia Scherer - che solo successive indagini potranno, eventualmente, appurare - a noi importa l'acquisire ulteriori dati di contesto. Questi pochi appunti vanno a sommarsi alla vera e propria "celebrazione" giuntaci dal catalogo edito a Parma, sulla cui copertina campeggia la "ballerina" di Emilio Scherer, uno dei dipinti più delicati e romantici dell'Ottocento parmense. 
Spero, infine, che le mie riflessioni possano essere funzionali ad una maggiore conoscenza del pittore, sottolineando ancora una volta lo spessore della sua vicenda umana, e l'urgenza di interventi di restauro nelle chiese di Bosa che possano, almeno in parte, preservare la memoria di una preziosa porzione di storia artistica, di cui la città del Temo è stata privilegiata testimone. 
 
Marco Antonio Scanu
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